Lo specchio della Schygulla
Un’immagine da Sunset Boulevard si presenterebbe a chi avesse l’onore di varcare la soglia dell’abitazione nel 4° arrondissement di Parigi, dove vive appartata tra cimeli e fasti del passato. Lo specchio – in bella vista nel salone, circondato da fotografie delle gloriose star di Hollywood – come una telecamera, sorveglia inesorabile le vite riflesse: il cinema è la morte al lavoro sugli attori, scriveva Jean Cocteau.
Intervistata da The Guardian nel marzo scorso, si lasciò sfuggire una frase curiosa sul rapporto con il regista col quale ha girato più di venti film e al cui nome è legata indissolubilmente: Rainer Werner Fassbinder. “Sono una delle sopravvissute”, dichiarò. Considerata la cronaca attuale, non pochi avrebbero da ridire sul carattere turbolento dell’enfant prodige del Nuovo Cinema Tedesco: amanti suicidi, presunte molestie psicologiche agli attori, tiro a segno di drink contro i cameraman. Ma forse, tra queste cose, è il suo talento esagerato che a distanza di anni risulta difficile da digerire.
[Foto: https://theredlist.com/wiki-2-24-224-523-view-hollywood-cinecitta-stars-profile-hanna-schygulla-rainer-werner-fassbinder.html]
Tuttavia, Hanna Schygulla fu uno dei pochi membri dell’Antiteater – la compagnia fondata da Fassbinder – a non aver mai subìto. “Non mi ha torturato. Sapeva che poteva ottenere da me solo se mi faceva sentire che gli piaceva quello che stavo facendo.” Irm Hermann, compagna del regista, ci lavorò quasi quanto lei. Tentò di togliersi la vita tre volte. Fai pure, le disse quando minacciò di saltare da una finestra. A una cena di gruppo, Fassbinder annunciò che avrebbe dormito con lei solo se avesse rinunciato al vegetarianismo mangiando una bistecca. Lei acconsentì, vomitando in seguito. “Ho detto di mangiarla, non vomitare” rispose infuriato. “Se vuoi farlo con me, devi tenere la carne dentro di te.” Nessuno si ribellò mai al metodo.
Non dimentichiamo che questa è la cosiddetta Terza generazione (per citare un suo film controverso), ovvero nipoti dei collaborazionisti del Terzo Reich, figli contestatori, e compagni occasionali di chi ha scelto la via della lotta armata. Eppure, nel suo famoso e illuminante libro del 1984 I film liberano la testa, Fassbinder narra il loro primo incontro e gli inizi della collaborazione con umanità e tenerezza. Il racconto autobiografico si intitola Hanna Schygulla. Un essere umano, debole come tutti noi, non una star.
Immaginate due ventenni spiantati, iscritti a uno dei tanti laboratori teatrali a Monaco, uno per racimolare un pezzo di carta, l’altra in crisi con gli studi da insegnante. Immaginate la delusione nel realizzare che la maggior parte delle scuole di recitazione hanno come obiettivo convertire in denaro la passione che spinge verso il palcoscenico. Immaginateli quindi sconfortati in qualche locale a buon mercato ascoltare le speranze, i desideri, le ambizioni di carriera, le frustrazioni dei compagni di corso e immaginate adesso l’umore nel constatare di non avere nulla da spartire con loro. Allora vedrete l’imberbe buttare un occhio alla sventurata e avere un’improbabile folgorazione: ella sarebbe divenuta star dei suoi film ed egli regista, anzi magari pietra miliare della cinematografia, forse addirittura figura trainante. Così avvenne. Ma ci volle tempo perché si presentasse l’occasione.
Dopo essere stato respinto tre volte alla scuola di cinema, Fassbinder divenne regista teatrale e, nel cercare di rimpiazzare l’attrice protagonista di uno dei suoi drammi – morta accoltellata dal compagno per gelosia – gli tornò in mente proprio lei: Hanna.
Da lì un’escalation, fino all’esordio al cinema con L’amore è più freddo della morte (1969) e al successo de Il matrimonio di Maria Braun (1978).
[Foto: http://www.filmalcinema.com/film/matrimonio-maria-braun/]
Dopo quasi vent’anni insieme, il loro rapporto prese un’altra piega quando lei scoprì che Rainer era intervenuto personalmente per assicurarsi venisse pagata meno di Giancarlo Giannini, suo partner nel melodramma Lili Marleen. Era il 1981.
[https://quinlan.it/2010/12/19/dvd-lili-marleen/]
L’anno successivo, al funerale del regista – morto di overdose a trentasette anni con più di quaranta film in attivo – Hanna era lì. Suonarono Schubert, Janis Joplin, i Kraftwerk e i Pink Floyd. Ma la bara era vuota. Stavano ancora cercando di determinare la causa del decesso. Una volta le chiesero se avesse visitato la sua tomba a Monaco. “Per cosa?” Rispose lei. “Solo un paio di ossa. Ho un angolo nel mio appartamento vicino allo specchio dove tengo i ritratti di quelli che mi appartenevano. Lui è lì”.
[Foto nell’header: © JIM RAKETE]