Addio a Bernarndo Bertolucci, maestro del novecento

Regista, autore, produttore, documentarista, poeta, artista

Regista, autore, produttore, documentarista, poeta, artista: non c’è definizione in grado di racchiudere tutto l’estro e il talento di Bernardo Bertolucci. Proprio oggi è venuto a mancare uno dei più grandi nomi del cinema italiano e internazionale, tra le firme più autorevoli della seconda metà del secolo scorso. Dallo sperimentalismo al cinema d’autore, il regista di Novecento, Ultimo tango a Parigi e L’Ultimo imperatore, ci ha lasciato a 77 anni, dopo aver combattuto contro una lunga malattia.

La carriera di Bertolucci prese il via da Parma, le cui colline sono spesso entrate nelle sue inquadrature: figlio del poeta Attilio, amico di Pasolini e Moravia, vicino a Morante e Tonino Guerra, scoprirà presto l’amore per la tradizione letteraria e musicale italiana, vincendo a vent’anni il Premio Viareggio con la poesia In cerca del mistero. È questa la matrice culturale da cui discenderanno, o almeno ne saranno contagiati, i suoi sedici film: il fascino del mitico, l’amore per i testi letterari, l’estetica popolare, la visione postmoderna del cinema (“Non si può vivere senza Rossellini”, dirà).

Fatidico fu l’incontro con Pier Paolo Pasolini, per il quale lavorò come assistente e dal quale sarà introdotto al mondo della regia, dirigendo su un’idea dello stesso Pasolini il suo film d’esordio, La commare secca. “A Parma si parlava di cinema, e si faceva cinema – ricordava Bertolucci – c’erano Pietrino Bianchi, Zavattini, Calzolari, Fornari. Nel ’53 si tenne il primo convegno del neorealismo. Un contesto in cui mi sembra naturale che abbia voluto fare cinema. Quando ci trasferimmo a Roma lo vivevo come un esilio. I volti dei genitori dei miei compagni di classe, quasi tutti impiegati nei ministeri, erano meno epici di quelli dei contadini di Baccanelli, la frazione a pochi chilometri da Parma in cui prima vivevamo”.

Dopo aver diretto Prima della rivoluzione e La certosa di Parma, entrambi accolti freddamente ai botteghini, raggiungerà il successo di critica e di pubblico negli anni ’70: i primi riconoscimenti arriveranno con La strategia del ragno e con quel piccolo gioiello de Il Conformista, che resta ad oggi uno dei suoi film più riusciti e maturi. Nel 1972, invece, legherà in modo indissolubile il suo nome a Ultimo tango a Parigi, un vero manifesto della trasgressione e dello spirito sessantottino, scandaloso, con un superbo Marlon Brando, la cui vicenda giudiziaria ancora oggi fa discutere e divide le opinioni. La fama internazionale raggiunta con Ultimo tango gli permetterà di realizzare nel 1976 Novecento, un affresco emozionante di cinquant’anni di storia padana, con un cast immenso: Robert De Niro, Gérard Depardieu, Burt Lancaster, Donald Sutherland. Nel 1987, la consacrazione definitiva con L’ultimo imperatore: nove oscar e un incasso mondiale di oltre 78 milioni di dollari. Dopo Il tè nel deserto, con John Malkovich, e il più spirituale e sofisticato Piccolo Buddha, negli anni più recenti ritornerà alle atmosfere del ’68 con The Dreamers, in cui emerge tutto l’amore nostalgico di Bertolucci per il cinema.

Una carriera fatta di sogni, ironia, innovazione, sempre controcorrente. Segni di un’incredibile vitalità che hanno caratterizzato la vita di un grande maestro fino agli ultimi istanti.